giovedì 29 aprile 2010

Facoltà di astensione dei prossimi congiunti. Il nuovo approccio giurisprudenziale

L'obbligo di testimoniare deponendo il vero, com'è noto, incontra alcuni limiti. Il legislatore all'art. 199 c.p.p. ha introdotto delle eccezioni disponendo la non obbligatorietà della deposizione in favore dei prossimi congiunti.L'intentio legis è caratterizzata dalla volontà di dar rilievo al vincolo affettivo-familiare ed in particolare di proteggere il teste dalla situazione di conflitto psicologico che si verrebbe altrimenti a determinare fra l'obbligo giuridico di deporre e di dire il vero e l'obbligo morale di non danneggiare le persone vincolate da un rapporto di parentela[1]. Tale impostazione è stata ribadita dalla Corte Costituzionale, sotto la vigenza del codice di rito del 1930, con sentenza resa il 12 gennaio 1977, n. 6[2], sottolineando come nel possibile contrasto tra l'interesse pubblico, della giustizia, che su tutti gravi il dovere di deporre, e l'interesse privato, ancorato al sentimento familiare, che i prossimi congiunti dell'imputato, non siano travagliati dal conflitto psicologico tra il dover deporre e dire la verità ed il desiderio o la volontà di non deporre per non danneggiare l'imputato, il legislatore abbia come regola ritenuto prevalente l'interesse privato, anche se in modo non generale ed assoluto ma se ed in quanto l'interessato e cioè il teste reputi di non dovere o potere superare quel conflitto[3]. Dunque, la non obbligatorietà di deposizione per il prossimo congiunto si configura non come divieto assoluto di deporre ma come facoltà di astensione. Spetterà al soggetto interessato valutare concretamente se astenersi o optare per la deposizione. A tal fine l'art. 199 c.p.p., comma 2, impone al Giudice di avvisare il prossimo congiunto, chiamato a deporre, della facoltà concessagli dal codice di rito di astenersi. La sanzione prevista nel caso di inosservanza degli obblighi di cui al secondo comma è la nullità relativa di cui all'art. 181 cod. proc. penale.
L'ambito soggettivo di tutela, in assenza di specifiche disposizioni contenute nell'art. 199 c.p.p., va determinato applicando la previsione normativa generale di cui all'art. 307 c.p., comma 4. Pertanto i beneficiari della facoltà di astensione dall'obbligo di deporre sono gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti dell'imputato non ricomprendendo nella denominazione di prossimi congiunti gli affini allorchè sia morto il coniuge e non vi sia prole. Il nuovo codice di rito ha ampliato l'ambito di tutela soggettiva ricomprendendo nella nozione di prossimi congiunti aventi la facoltà di astenersi i soggetti legati all'imputato da vincolo di adozione, sia essa un'adozione di minorenni ex l. 184/83, o di maggiorenni exartt. 291 ss. c.c.[4].
Le novità più importanti sono contentute nella seconda parte del 3 comma, art. 199 cod. proc. penale. La convivenza more uxorio è stata posta sullo stesso piano della convivenza coniugale. Il coniuge o conviventemore uxorio, limitatamente ai fatti verificatisi o appresi dall'imputato durante la convivenza, ha facoltà di astenersi. A tal proposito pare opportuno evidenziare l'approccio esegetico seguito dalla Corte di Assise di Torino[5]. Il giudice piemontese con approccio pienamente aderente all'evoluzione sociale, condiviso sia dalla giurisprudenza di merito che di legittimità, ha ritenuto opportuno estendere l'ambito di applicazione dell'art. 199, comma 3, c.p.p. ricomprendendo nella nozione di convivenza giuridicamente rilevante anche ogni legame affettivo stabile che includa la reciproca disponibilità a intrattenere rapporti sessuali, il tutto ricompreso in una situazione relazionale in cui siano presenti atteggiamenti di reciproca assistenza e solidarietà, elementi questi che non risultano esclusi dalla sola uniformità di sesso fra le persone in relazione.
Il corretto concetto di famiglia di fatto, conseguenza del rapporto di convivenza more uxorio, accolto in giurisprudenza e fatto proprio dal legislatore nell'articolo 199 c.p.p. quale ipotesi di eccezione all'obbligo di deporre emerge dalla giurisprudenza di legittimità più recente.
La Corte di Cassazione con sentenza resa il 5 gennaio 2006, n. 109[6], nell'ambito di un ricorso per l'ammissione al gratuito patrocinio, muovendo dalla evidente necessità di porre l'accento sulla realtà sociale piuttosto che sulla veste formale dell'unione tra due persone conviventi ha riconosciuto valenza giuridica alla relazione interpersonale atteso il carattere di tendenziale stabilità, natura affettiva e parafamiliare, esplicatosi in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale, con ciò giungendo alla conclusione di una piena equiparazione della convivenza coniugale alla convivenza more uxorio al fine di individuare il limite reddituale per l'ammissione al gratuito patrocinio nei procedimenti penali[7].
A conclusione di questa breve trattazione giuridica ritengo che la facoltà di astensione dal deporre di cui all'art. 199 cod. proc. penale debba essere estesa oltre i limiti tradizionali di cui all'art. 307, comma 4, c.p. attesa la nuova realtà sociale affermatasi in tutto il territorio nazionale, e, di cui, hanno dato prova di tenerne conto in più occasioni sia la giurisprudenza di legittimità, sia la giurisprudenza di merito, oltre che, lo stesso legislatore.
di Giuseppe Lantieri
Articolo pubblicato nella rivista online Diritto & Diritti.



[1] V. Perchinunno, Limiti soggettivi della testimonianza penale, Milano 1972, 147.
[2] Corte Costituzionale, 12 gennaio 1977, n. 6, in Riv. Giur. Scuola 1980, 45 (nota). Non contrasta con il principio di eguaglianza (dell'art. 3 cost.) la norma dell'art. 350 c.p.p. nella parte in cui consente che, in aggiunta ai prossimi congiunti di cui all'art. 307, comma 4, c.p., possa astenersi dal deporre chi, nei confronti dell'imputato o di uno dei coimputati, si trovi in una situazione affettiva di natura familiare semplicemente di fatto ed oggettivamente identica a quella disciplinata dal cit. art. 350 c.p.p. .
[3] Nello stesso senso v. Corte Costituzionale, 16 maggio 1994, n. 179, in Arch. nuova proc. pen. 1994, 478, Giur. cost. 1994, 1589 nota Pitton, Cenci.
[4] V. Grevi, Il segreto familiare: la testimonianza dei prossimi congiunti, in La Testimonianza, 114. L'autore già segnalava la necessità di estendere la facoltà di astensione ai soggetti legati da vincoli di adozione ordinaria, nonché alle ipotesi di affiliazione (istituto oggi abrogato dall'art. 77 l. 184/1983) che generano normalmente rapporti affettivi assai stretti, appunto di stampo familiare, del tutto corrispondenti a quelli che si vogliono tutelare attraverso una norma come l'art. 350 cp.p. .
[5] Corte di Assise di Torino, 19 Novembre 1993, a commento della decisione v. V. Pocar,Destrutturazione della famiglia, 191 e ss.; M.A. Cattaneo, Dati ontologici, 193 ss.; V. Fanchiotti, Diritto alla privacy, 195 ss.
[6] Corte di cassazione, IV sezione penale, 5 gennaio 2006, n.109. Il rapporto di convivenza, ai fini del calcolo reddituale per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non si interrompe con lo stato detentivo della persona interessata al gratuito patrocinio.
[7] Cassazione civile , sez. I, 08 agosto 2003 , n. 11975. in Diritto di Famiglia 2004, 72. La giurisprudenza di legittimità in sede civile ha ritenuto pienamente incidente sui parametri di valutazione, ai fini dell'attribuzione e alla liquidazione dell'assegno divorzile, la stabile convivenza "more uxorio" instaurata dal coniuge richiedente, recidendo ogni plausibile connessione con il tenore ed il modello di vita economica caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale e, con ciò stesso, ogni presupposto per la riconoscibilità dell'assegno divorzile fondato sulla conservazione di esso.

mercoledì 10 settembre 2008

Il contratto di ormeggio

Il contratto di ormeggio è una figura contrattuale di recente acquisizione. La sua affermazione nella prassi è strettamente connessa allo sviluppo impetuoso della nautica da diporto. Ed infatti, negli ultimi decenni si è potuto assistere al progressivo allargamento della cerchia di coloro che praticano tale attività.

Con la stipulazione del contratto di ormeggio il proprietario o possessore del natante intende ottenere l'assegnazione di un apposito e protetto spazio acqueo al fine di poter ormeggiare nel porto o approdo turistico col proprio mezzo nautico. Il concessionario gestore del porto o approdo turistico otterrà in cambio il corrispettivo del prezzo. Tuttavia, le prestazioni erogate dal concessionario non sono circoscritte alla sola messa a disposizione delle strutture portuali ma sovente la conclusione del contratto di ormeggio implica il sorgere di ulteriori obbligazioni: a) si pensi all'obbligo di custodia del natante ormeggiato nel posto barca assegnato come da contratto al diportista; b) ai servizi accessori erogati dalla società o associazione gestrice del porto o approdo turistico in favore del diportista qualora venissero richiesti (fornitura di energia elettrica, carburante, servizi telefonici, ecc..)

Dal momento che il contratto di ormeggio non è disciplinato né dal codice civile, né dal codice della navigazione appare evidente che ci troviamo dinnanzi ad una ipotesi di contratto atipico o innominato. Secondo l'articolo 1322 del codice civile le parti possono concludere contratti che non appartengono ai tipi che hanno una disciplina particolare , purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico. Nel caso del contratto di ormeggio non vi sono dubbi circa la meritevolezza degli interessi che le parti contraenti intendono realizzare con la sua conclusione.

Sia in dottrina che in giurisprudenza vi è stato un lungo dibattito al fine di individuare la disciplina concretamente applicabile al contratto di ormeggio. Necessità che è andata accentuandosi a causa delle lacune dell'ordinamento giuridico nonostante i recenti interventi normativi che hanno interessato il settore della nautica da diporto, si pensi alla legge 172 del 2003 recante disposizioni per il riordino e il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico ed il d.lgs. 171 del 2005 recante codice della nautica da diporto. Quest'ultimo è stato realizzato in attuazione della delega contenuta nell'articolo 6 della legge 172 del 2003.

Gli aspetti che maggiormente hanno catturato l'attenzione della giurisprudenza e della dottrina riguardano la responsabilità del concessionario nel caso di danneggiamento dell'unità da diporto ormeggiata o furto della stessa e/o delle cose in essa contenute. Ed infatti, non è indifferente sotto il profilo della responsabilità del concessionario ricondurre il contratto di ormeggio entro l'ambito della disciplina legale del deposito, articoli 1766 e seguenti, codice civile, o entro l'ambito della disciplina legale della locazione, articoli 1571 e seguenti. Così in una prima fase la giurisprudenza, che si è occupata di individuare la disciplina concretamente applicabile al contratto di ormeggio, al fine di stabilire se fosse o meno configurabile una obbligazione risarcitoria in capo alla società o associazione gestrice del porto o approdo turistico nell'ipotesi di danneggiamento dell'unità da diporto ormeggiata ha preferito rinunciare ad un operazione di carattere generale risolvendo la controversia ad essa sottoposta facendo esclusivo riferimento alla specificità del caso concreto. Per tale via essa era giunta ad uno sdoppiamento concettuale. Configurando due ipotesi di contratto di ormeggio: a) la fattispecie dell'ormeggio-deposito; b) la fattispecie dell'ormeggio-locazione.

Nel caso in cui il diportista nautico era nella possibilità di fornire la prova in merito alla assunzione dell'obbligazione di custodia da parte del concessionario gestore del porto o approdo turistico il contratto di ormeggio andava ricondotto entro l'ambito della disciplina legale del deposito, articoli 1766 e seguenti, codice civile. La conseguenza concreta di tale operazione interpretativa consisteva nella configurabilità della responsabilità contrattuale del concessionario qualora si fosse verificato il danneggiamento o il furto dell'unità da diporto ormeggiata nel posto barca.

Viceversa, qualora il diportista non era nella condizione di fornire la prova circa l'assunzione dell'obbligazione di custodia da parte del concessionario ad avviso della giurisprudenza non vi erano le condizioni per ricondurre il contratto di ormeggio entro l'ambito della disciplina legale del deposito ma piuttosto bisognava procedere attingendo alla disciplina legale della locazione, articoli 1571 e seguenti.

Questo approccio non poteva considerarsi soddisfacente per numerosi aspetti. Anzitutto, così facendo la giurisprudenza rinunciava ad un operazione di più largo respiro, vale a dire la possibilità di costruire una disciplina generale applicabile al contratto di ormeggio, specie nell'ipotesi in cui il contratto in parola non fosse stato concluso per iscritto. Inoltre, tale sdoppiamento concettuale appariva artificioso in quanto non teneva conto della complessità ed articolazione del contenuto di siffatta fattispecie contrattuale.

Con la sentenza resa il 1 giugno del 2004 la n. 10484, la giurisprudenza di legittimità ha mutato il suo approccio optando per una soluzione maggiormente rispondente alle caratteristiche del contratto di ormeggio. Tenendo conto della complessità che lo caratterizza la Cassazione ha superato lo sdoppiamento concettuale precedente ed individuato una struttura minima essenziale, in mancanza della quale non può dirsi realizzata la detta convenzione negoziale, consistente nella semplice messa a disposizione ed utilizzazione delle strutture portuali con conseguente assegnazione di un delimitato e protetto spazio acqueo. Il suo contenuto può, peraltro, del tutto legittimamente estendersi anche ad altre prestazioni, sinallagmaticamente collegate al corrispettivo, quali la custodia del natante e/o quella delle cose in esso contenute. Spetta a colui che fonda un determinato diritto, o la responsabilità dell'altro contraente, sulla struttura del contratto, fornire la prova dell'oggetto e del contenuto, vale a dire, la prova che il contratto ha avuto ad oggetto non la semplice utilizzazione delle strutture, ai fini dell'attracco e della sosta, ma altresì la custodia dell'imbarcazione. Trattandosi di contratto o di contratti per il quale non è richiesta alcuna forma, la relativa prova può essere data anche attraverso testimoni e può, eventualmente essere tratta da presunzioni che presentino i connotati della gravità, della precisione e della concordanza (articolo 2729, codice civile).

La prestazione erogata dal concessionario consistente nella messa a disposizione ed utilizzazione dello specchio d'acqua antistante l'ormeggio, cui far accedere alcuni aspetti della disciplina della locazione, rappresenta il nucleo essenziale, capace di fondare tipologicamente il contratto di ormeggio, intorno al quale gravitano le altre prestazioni: a) le obbligazioni di custodia, cui far accedere parte della disciplina del deposito; b) la erogazioni di servizi accessori, quali forniture d'acqua, energia elettrica, servizi di controllo della sicurezza del natante e così via, cui far accedere la disciplina della somministrazione, artt. 1559 e ss. codice civile.

Al fine di individuare la disciplina applicabile al contratto di ormeggio occorre procedere anziché col metodo della sussunzione col metodo misto applicando la tecnica della combinazione. Quest'ultimo approccio consente senz'altro di ottenere risultati maggiormente rispondenti alla realtà del contratto di ormeggio preservando l'autonomia contrattuale delle parti contraenti.